lunedì 5 ottobre 2009

Diario di un farabutto in PiaZZa del Popolo

L’ultima volta che ero “sceso in piazza” andavo a contestare la riforma della pubblica istruzione. Era il 1997 e non sapevo quasi nulla dello “scendere in piazza” ma ero discretamente informato sulle idee del più anonimo dei Berlinguer; per intenderci è Luigi, quello in grado di fare una riforma talmente assurda da farsi cancellare dalla storia da Letizia Moratti.
I corsi autogestiti a scuola per informare i pischelli mi avevano fatto venire più voglia di cambiare il mondo che di tornare a casa a dormire, e per questo si va, si “scende in piazza”. La delusione per non essere riuscito a cambiare il mondo è arrivata fino ad oggi, ed il fatto che la Moratti, da sola, fosse riuscita a fare meglio di me e di altre duecentomila testine indemoniate (sempre i soliti 40 per la Questura) ha lasciato in me un’incazzatura tale da regalarle un pensiero, questa mattina, quando ho deciso di riaffrontare la piazza.
Senza scenderci stavolta, ma andandoci in macchina, a Roma, andata e ritorno, con un tesserino nella tasca, un part time nel cervello e la delega formale del Mercenario e del dottor Gonzo.
Per uno strano gioco di alliterazione, è stata la “Z” a dominare in questa giornata. Primo perché da tempo ero consapevole che la piaZZa non contava più un caZZo; e poi perché chiudere la giornata avendo fatto la conoscenza di Zoro mi ha ampiamente ripagato dell’andata nella capitale.
In una manifestazione che può dirsi un successo però, non tutto è stato apprezzabile.
Fischio d’inizio, Vianello regge bene allo start, la folla (ad occhio veramente enorme in un luogo non ideale a contenerla come Piazza del Popolo) è subito calda. Ci sono tutti i presupposti per partire forte, ma al pronti-via c’è subito una doccia gelata. Franco Siddi, segretario nazionale della Fnsi, riesce a presentarsi con un discorso lunghissimo, evidentemente non scritto per una manifestazione e letto con passione ma poca ars oratoria. C’è troppa carica partecipativa perché la gente si spenga, e neanche la maggior sapienza tecnica di Valerio Onida, presidente emerito della Corte Costituzionale ma comunque moscio e con poco brio, riesce a calmare i bollenti spiriti dei farabutti. Pareva una disfatta, una strada in salita, ma poi arriva Saviano e la piazza esplode. Ormai fa venire i brividi anche solo a guardarlo, uno come Saviano.
Lui che quando apre bocca incanta e distrugge le coscienze di chi lo ascolta, ci mette pochi minuti a trasmettere l’emozione di essere lì a tutela di un principio irrinunciabile, un valore inquantificabile nella sua importanza.
E la giornata è già svangata.
Il resto è tutto nella genialità di Andrea Rivera, nel sospiro di sollievo nel sentire una precaria della scuola che parla un buon italiano anche davanti a tanta gente, nella meraviglia provata applaudendo per Dino Boffo (!) e condividendo il messaggio del Cdr dell’Avvenire, nell’irriverenza che ho voluto avere gridando “sai campà” all’indirizzo di Carlo Verna, segretario del sindacato giornalisti Rai, e nella sorpresa di vedere gente così attenta ed interessata in grado di non lasciarsi coinvolgere in cori da stadio. Non restava che fare il conto dei presenti e sperare che la gran massa dei politici che affolavano il retro palco non monopolizzasse i palinsesti dei Tg, dando una mano di solito bianco sui colori più accesi della partecipazione popolare.
Poi, quando tutto sembrava finito e sul palco non ci restavano che i cantanti (in stile lenti dopo una serata Techno) i due jolly della giornata: panino coa porchetta e stretta di mano con tanto di “daje” a Zoro. “Mejo de così, nun me poteva andà” Condividi

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